Ci sono due cose che non riesco a smettere.
Un famoso - c'è chi dice famigerato - scrittore italiano di talento e di successo, richiesto di un consiglio agli aspiranti scrittori rispose: "Consiglio di smettere". All'attonito intervistatore dopo adeguata pausa spiegò. Sì, se riuscite, smettete, perchè significa che ne potete fare a meno e vi risparmierete un sacco di guai.
Ripenso spesso a questa parabola, di molto effetto ma anche di una certa innegabile sostanza: se riuscissi a smettere di scrivere potrei trovarmi con un sacco di tempo libero per il modellismo, il giardinaggio, lo studio del sanscrito. L'Origami. Lobachewski.
L'altra cosa che non sono ancora riuscito a smettere di fare è mangiare. Sono perfettamente consapevole della scarsa esclusività di questa seconda in quanto l'unico che si ricordi morì proprio quando aveva imparato. Era l'asino di Buridan.
Dunque, delle due l'una: scrivere di mangiare, ed ecco che il dilemma apre la voragine del dubbio, oscura e nebulosa come un mattino di febbraio a Codigoro.
Franchino Zappa, intelletto brillante assai e sagace e tagliente e tutto, diceva che parlare di musica è come ballare di archietettura.
Dunque scrivere di cucina è come ballare di architettura?
A volte la sensazione è quella, come quando ti trovi sotto i denti l'astice stopposo. Prendi nota sul moleskine: "astice stopposo". Poi a casa, nella solitudine del novellare, quando arrivi a quella riga lì le dita ti si appiccicano sulla tastiera come su liquerizie usate.
Scrivere di mangiare è ballare di architettura se si limita ad una pallida e preconfezionata rappresentazione di qualcosa d'altro. La cronaca è diafana, il racconto si fa sfilacciato, acquoso, inutile.
Scrivere di mangiare diventa una forma di espressione quando diventa racconto di una esperienza. Quando abbandona la tentazione dell'oggettività e diventa la propria, unica ed irredimibile traduzione di una esperienza.
Quell'esperienza che hai addomesticato per renderla condivisa, anche se non condivisibile, con la magia del linguaggio e con la concretezza dell'idioma.
Danziamo di cibo, che non è una milonga.
"animula vagula blandula hospes comesque corporis"
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