Aprile è il mese del post Vinitaly. Aprile è anche il mese del post "è sbocciata la primavera" quest'anno meno vera e molto prima (non mi si castighi per lo scontato gioco di parole). C'è chi ha parlato di catastrofe vitivinicola causa clima (vedi Ibimet Cnr su Brunello, Chianti e Nobile (e gli altri vini d'Italia?)). Così, tra una parola e un'altra intorno a quanto sarà difficile domare Madre Natura (non dimentichiamoci che è la stessa Madre Natura che fino a qualche giorno fa ci ha dato vini da capogiro!), per caso mi sono imbattuto in un produttore "agricoltore prego!" come lui stesso ha precisato, che le calamità naturali le ha sfidate fino all'impossibile. Sì perché non è stata una sfida semplice far conoscere un terroir, quello della Sicilia. Non è stato ancora più semplice alzare di nuovo la testa dopo un terremoto catastrofico come quello del 1968 a Menfi. Così in quella fantastica terra, tra un vinaccio da distillazione e qualche carciofo (buoni davvero quelli che si producono dalle sue parti), Diego Planeta ha dimostrato cosa vuol dire essere prima di tutto un "agricoltore" e poi, semmai, un produttore (di successo, lui lo ha dimostrato in tutti i sensi). "Non più parole omai" per presentare il patron di una delle cantine che in Italia ha saputo coniugare l'innovazione di prodotto alla narrazione di un territorio intero tramite il nettare di Bacco. L'intervista (goduriosa per chi l'ha fatta davanti al golfo di Taormina sorseggiando uno dei suoi rossi col cavallino rampante).
D. Diego Planeta ha parlato più volte del suo amore per la terra, in senso stretto, e di quanto prima che un produttore di successo si senta agricoltore. Vuole spiegare meglio la differenza?
R. Io penso di essere nato agricoltore. Non ho mai tentato di cambiare il mestiere o non ho mai potuto cambiare il mestiere e spero di finire la mia carriera da agricoltore. Ovviamente non potrei che fare l'agricoltore: da 49 anni meno qualche mese, meno qualche mese perché ricordo esattamente come, quando e perché dovetti cominciare a fare l'agricolture e in questi 49 anni sono riuscito ad amministrare queste proprietà della mia famiglia e sono riuscito a sopravvivere; cosa non facile.
D. 2007 - 49 fa 1958. Com'era la sua Sicilia in quegli anni?
R. Quando sono partito io qui in Sicilia eravamo in tanti ad amministrare i beni agricoli delle proprie famiglie; oggi penso che i rimasti si possano contare nelle dita di una mano probabilmente.
D. Nel 1958 il vino, fatta salva qualche eccezione non era così importante come oggi. Cosa prima della viticoltura?
R. Se devo brevemente raccontare il come e perché, cos'è che mi ha fatto sopravvivere, io credo che sia soltanto la voglia di cambiare. Io sono una persona che purtroppo non riesce a fare la stessa cosa per troppo tempo. Dopo un po', per quanto bella sia, non mi interessa più, devo farne un'altra. La mia azienda è partita… la nostra azienda è partita con la cultura del lino per la fibra e con la cultura del cotone. Eravamo gli antesignani di coloro i quali avrebbero prodotto la materia prima, ma abbiamo smesso troppo presto forse e poi attraverso quello siamo passati all'orticoltura, poi all'allevamento bovino. Probabilmente tutti sanno che allora non c'erano i ritiri di mercato della carne in eccesso e il latte in eccesso. In Sicilia c'era un altro sistema, c'era l'abigeato che levava il problema. Insomma questa è stata la mia lunga avventura, dura, difficile, fino a oggi.
D. Il vino quando è arrivato?
R. negli anni '80, io peraltro mi ero occupato e mi occupo ancora della gestione di una grande cooperativa vitivinicola, si vedevano questi giovani, figli e nipoti, che scalpitavano che volevano inserirsi quindi nell'85, quando ancora mia figlia beveva il latte e mio nipote Alessio, che poi stati i due grandi leader dell'azienda, era ancora all'Università, abbiamo pensato assieme a un modello, un modello completamente diverso da tutto ciò che era il modello tradizionale vitivinicolo della Sicilia.
D. Una svolta insomma.
R. Ci siamo documentati a lungo. I ragazzi sono andati a studiare per diversi anni per questo progetto. Nel 1985 abbiamo fatto un piano di lavoro di dieci anni che partiva appunto dell'istruzione dei giovani, all'impianto dei nuovi vigneti, alla sperimentazione, allo studio, la ricerca, il mercato, la segmentazione, le possibili esportazioni e che ci avrebbe portato alla prima vendemmia e quindi nel '97 andare al Vinitaly con i primi vini pronti per andare sul mercato.
D. Un successo da subito?
R. Abbiamo fatto un errore di calcolo, cioè c'eravamo dimensionati per produrre 200 mila bottiglie di vino che pensavamo di riuscire a collocare interamente sul mercato nell'arco di dieci anni. Non è andata così. È andata strepitosamente bene, perché queste 200 mila bottiglie sono arrivate sul mercato il primo anno. Il secondo anno la prima cantina era già satura in termini di capacità produttive e quindi ci si pose il problema di cosa fare, cioè come non far concorrere i nostri stessi prodotti.
D. E venne il marketing…
R. Qui è arrivata la grande intuizione dei ragazzi di produrre in varie parti della Sicilia vini che esprimessero quei determinati territori, perché la Sicilia è varia in tutti i sensi, per cultura, per clima, per risorse della terra.
D. Lei ha espresso dei pareri all'interno di un convegno in cui si è parlato di cambiamento in agricoltura (forum di Confagricoltura, Taormina n.d.r.). Come vede l'agricoltura nell'era della globalizzazione del mercato?
R. Secondo il mio punto di vista la globalizzazione è un bene per il mercato, non il contrario. La globalizzazione vuol dire scambio di merci senza frontiere con un sistema di comunicazione che ti consenta in qualunque momento di avere la notizia in tempo reale e trasporti che prima non erano possibili e che oggi invece rendono possibile che qualunque merce prodotta in qualunque parte del mondo possa arrivare dall'altra parte indipendentemente dalla sua deperibilità.
D. Globalizzazione però è anche concorrenza talvolta non tanto alla pari. Come la mette allora?
R. Ciascun Paese, ciascun produttore a vantaggio e svantaggio deve mettere sul piatto della bilancia i propri aspetti positivi e quelli negativi. Io comunico Italia, io comunico Sicilia, io comunico storia. Attraverso una bottiglia io faccio parlare il mio territorio. L'australiano non può farlo. Può comunicarmi solo un vitigno e un prezzo. Noi possiamo competere in quanto portatori di un qualcosa che è la diversità del nostro Paese, la diversità della nostra storia, delle nostre religioni e del nostro tutto e quindi due opinioni diverse.
D. Cosa bolle nel tino di Diego Planeta?
R. Punteremo molto a potenziare il progetto "Viaggio in Sicilia" che è la messa in atto per gli altri da noi produttori di quello che è stato il nostro progetto. Non un semplice viaggio, ma una avventura romantica alla scoperta di amenità, ma anche di arte, cultura di un territorio, gente della Sicilia.
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