Il vino citato nel titolo, non importa l'anno, lo conosciamo tutti. Il nome rimanda inevitabilmente al precursore della filosofia del vignaiolo, il grande Bartolo Mascarello.
A circa un anno dalla sua scomparsa abbiamo deciso di fare una panoramica sull'attuale mondo del vino e lo abbiamo fatto intorno a un calice di barolo con la figlia, Maria Teresa. Disponibile a scambiare emozioni sul suo vino, come il padre quando riceveva gli appassionati in cantina, Maria Teresa oggi è la vignaiola di via Roma, pronta a seguire i clienti nelle visite quotidiane e a dare manforte al costante e puntiglioso lavoro in vigna ereditando in pieno l'antica tradizione dei Mascarello.
Ci racconta come è nata la sua passione per il vino?
In realtà non è stato tutto così naturale come si potrebbe immaginare. Il mio percorso è stato di carattere letterario, infatti mi sono laureata a Torino in lingue e letteratura straniera. Addirittura fino a venti anni di età sono stata completamente astemia provocando anche non pochi imbarazzi da parte di mia madre che non riconosceva questa mia lontananza dal vino. Poi la svolta è arrivata assaggiando un bicchiere di Sauterne Chateau d'Yquem portato a un pranzo da un caro amico di mio padre. Se è vero che l'educazione sentimentale del vino parte da un bianco non potevo cominciare meglio. Da lì il passo successivo al vino non sarebbe stato poi così lontano. Mi sono laureata in lingue è vero, in francese, ma con una tesi dal titolo "Il vino e l'enologia nei dizionari storici francesi". Questo è stato il primo segnale che ho lanciato a mio padre. Era il 1993 quando ho cominciato a lavorare in azienda inizialmente seguendo il lato amministrativo e facendo accoglienza.
Quando invece il primo approccio diretto con la cantina?
E' avvenuto nel 1997 da quando cioè si è allontanato l'enologo che si trovava in azienda. In questo momento ho fatto la mia scelta di rimanere a casa e di lavorare per questo patrimonio costruito dalla mia famiglia. La scelta è stata dettata dal mio forte legame con la famiglia e con il territorio, valori che mi ha trasmesso mio padre negli anni e ai quali non potevo rinunciare.
Quali sono stati gli insegnamenti di suo padre?
Nella nostra famiglia si fa vino da sempre, ma mai nessuno è stato enologo. Dal 1997, da quando mio padre mi ha accolto in cantina, ho ricevuto molti insegnamenti di carattere pratico. I maggiori insegnamenti li ho appresi tuttavia ascoltando quello che mio padre diceva sul vino, sui vigneti. Casa Mascarello è sempre stata un posto di ritrovo per amici che producevano vino e clienti appassionati che venivano a comprarlo. Era inevitabile percepire i segreti di famiglia. Inoltre lo scambio di idee e il confronto diretto sono sempre stati elementi della mia quotidianità per cui le emozioni si trasmettevano in maniera indiretta. Non è stato pertanto un insegnamento "accademico", a tavolino. Fin da piccola mio nonno mi portava su un motorino in giro per i vigneti parlandomi di questi con una passione tale che non avrei potuto allontanarmi dalle mie terre.
Venendo a questioni più tecniche, proprio in questo periodo si parla dell'introduzione anche in Europa dell'uso dei trucioli nel vino. Lei cosa ne pensa?
Per me il vino è e deve essere un prodotto della natura. Usando queste tecniche innaturali non si dovrebbe più neanche chiamare vino. Il vino è la fermentazione dell'uva e quindi il suo riposo. Quando si parla di biotecnologie si parla di una bevanda privata di una sua connotazione naturale.
Suo padre si arrabbierebbe oggi riguardo a questo?
Assolutamente si! Vedere che l'industria enologica arriva a questo per noi rappresenta una retrocessione nel fare vino.
Oggi cosa è cambiato secondo lei nel fare vino?
Da noi niente, si fa vino come allora. Io seguo la scuola di mio padre, mio padre quella di suo nonno e via all'infinito. Le proprietà sono sempre le stesse. La pratica è sempre la stessa. A livello di fermentazione non c'è stato nulla di diverso. Abbiamo certo rinnovato negli anni le botti invecchiate sempre rigorosamente ricambiate con botti in rovere di Slavonia.
Ultimamente ha "sconvolto" un po' tutti gli appassionati del vino un giudizio molto pesante su uno dei vostri prodotti da parte di un giornalista americano in una rivista nota. Cosa ne pensa della stampa del settore?
Io credo che i giornalisti dovrebbero avere più umiltà e più responsabilità nel giudicare il lavoro di tanti produttori che con il vino ci vivono. Può anche darsi che un dato vino non sia di gradimento a una persona, ma in questo caso evitiamo di parlarne in maniera distruttiva.
E delle guide invece cosa ne pensa?
Non condivido il metodo numerico utilizzato per giudicare il singolo vino. Il punteggio spesso viene dato da persone che neanche hanno la "patente" per farlo. Sono sempre stata d'accordo con la tecnica introdotta da Veronelli che valutava il vino dando un giudizio complessivo e nella sua evoluzione temporale. I vini dovrebbero essere valutati con maggiore ponderatezza. Non si può dare un voto a un vino dopo una giornata di assaggio in cui ne sono stati testati altri cento. Inoltre non sono d'accordo con la richiesta di campioni. Molti produttori hanno del vino che riservano per i giornalisti. Io credo che per l'assaggio ogni professionista dovrebbe acquistare il vino che trova in commercio per essere sicuro della corrispondenza. Trovo anche curioso che lo stesso vino vari a volte drasticamente da guida a guida (vedi appunto il vino che dopo i "tre bicchieri" è stato massacrato dal giornalista americano).
Lei è d'accordo con chi pensa che il sistema delle guide abbia cambiato il mondo del vino in Italia?
Da una parte credo che sia stato positivo perché le guide hanno fatto conoscere realtà vitivinicole piccole nel mondo. Da altri punti di vista si è trattato di un gioco perverso di rincorsa al successo visto anche il fiorire di molte pubblicazioni. Una responsabilità però va anche attribuita ai produttori che in alcuni casi si sono fatti sopraffare dal giudizio della stampa di settore. Penso che i viticoltori dovrebbero prendere una posizione in merito perché se le guide ci sono è grazie a noi che facciamo il vino, bene o male. Dal punto di vista dei gusti c'è da dire che a un certo punto tutta la stampa ha favorito l'uso delle barriques, perché il mercato lo chiedeva e perché bisognava offrire al mercato vini più "internazionali". Oggi molti fanno marcia indietro e si torna a parlare dell'autoctono. Un motivo ci sarà…
L'anno scorso alcune etichette di barolo e barbaresco sono state "svendute" da una catena di discount in Italia e in Germania. Cosa ne pensa?
E' stato devastante per le nostre piccole realtà. Non è possibile essere credibili presentando bottiglie a 100 euro in enoteca e poi trovarne altre a 6 euro al discount.
Su questi presupposti quale secondo lei il futuro del vino italiano?
Dal mio piccolo osservatorio della provincia di Cuneo assisto a corsi e ricorsi. Si passa da periodi di internazionalizzazione fino ad arrivare a momenti come quello attuale in cui c'è un ritorno ai vini della tradizione. Alla fine credo che la tradizione dei vignaioli sia quello che resta per cui potrebbe essere vincente continuare a fare il vino in maniera tradizionale puntando su questo aspetto come arma vincente nel mercato.
Cosa fa la differenza di un barolo Mascarello?
La diversità dei nostri vini, come quella di molti altri piccoli vignaioli che hanno lavorato anche come noi, è quella di essere stati fedeli alla tradizione del territorio. Abbiamo continuato a fare vino come lo facevano i nostri nonni e questo secondo me ha fatto e continua a fare la differenza insieme al rispetto dei valori storici portati avanti con l'orgoglio di appartenere a queste terre.
Ci saluta con una sua immagine di Bartolo Mascarello in vigna?
Per la verità è una immagine che mio padre mi raccontava sempre di quando lui era giovane nel vigneto con suo padre. Mentre potavano vedevano saltellare il vicino di vigna. Alla fine del filare, curiosi, hanno chiesto la motivazione e il vignaiolo ha spiegato che quell'anno la figlia si sarebbe sposata per cui avrebbe dovuto fare più vino. Essendo piccolo di statura saltava per spuntare il tralcio più in alto così da avere più gemme. Questo per me ha sempre significato molto perché mio padre lo ricordava con molta ironia e affetto.
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