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Intervista a Mario Busso, di Alessandro Maurilli

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Parole e volti intorno a un calice

Intervista a Mario Busso

di Alessandro Maurilli

Siamo nel mese che precede, e in certi casi che vede l'avvio, della vendemmia delle uve. Siamo anche nei mesi caldi per quelli che non lavorano sul prodotto dell'anno in corso, ma in quello degli anni precedenti. Sto parlando in particolare degli assaggiatori che fanno parte delle guide del vino che tra maggio e agosto concentrano il grande e faticoso tour di assaggio per tutta l'Italia. Obiettivi principali sono le nuove annate in commercio e i campioni del 2005 per capire quali siano le aspettative. Non potevamo farci sfuggire l'occasione di degustare un calice a spasso per l'Italia con il curatore di una delle guide più affermate d'Italia, Vinibuoni d'Italia. Abbiamo così incontrato Mario Busso che ci ha esposto i motivi della separazione da Carlo Macchi (già intervistato in questa sede ndr) e le principali novità che ci dovremo aspettare dalla guida in uscita il prossimo autunno con il marchio Touring Club Italiano e con un nuovo curatore che affiancherà l'ormai padre alla nascita, Mario Busso appunto. Vediamo. Mario Busso


D. Dopo tre anni la Guida Vinibuoni d'Italia vede cambiare la coppia al timone e l'editore. Quali i motivi di questi cambiamenti?

R. Più semplice spiegare i motivi che mi hanno indotto a scegliere Touring Club Italiano, rispetto ad altre proposte editoriali. In primo luogo la forte capacità distributiva che porterà Vinibuoni d'Italia non solo in 1200 librerie italiane, ma anche nel circuito degli autogril, dove le guide Touring hanno decisiva visibilità e vendita. La collaborazione con Luigi Cremona tende a implementare il quadro interattivo tra produttori e ristorazione che rappresenta il primo sbocco di consumo e di immagine dei vini che la guida seleziona.


D. L'ingresso di Luigi Cremona quali nuovi imput porterà alla guida?

R. Con Luigi c'è un progetto condiviso su cui stiamo lavorando: la creazione dei "Ristoranti di Vinibuoni d'Italia", cioè quei ristoranti che in carta danno un occhio di attenzione ai vini da vitigni autoctoni italiani selezionati dalla nostra guida un'0attenzione particolare ai prodotti del territorio. Inoltre, Luigi ha trasversalità di dialogo, fuoriesce dagli schemi monacali e, diciamo pure, maniacali di quei guru che troppo spesso parlano di vino con linguaggi astrusi e incomprensibili. Io credo che il vino abbia bisogno di comunicazione facile, immediata, continua rivolta soprattutto al largo pubblico e non circoscritta, come ancora accade, agli addetti del settore e agli enofili.


D. Touring Club Editore per la prima volta scende in campo in maniera diretta sul mondo del vino. Quali saranno secondo lei i vantaggi per la guida?

R. Touring ha creduto nel progetto di Vinibuoni d'Italia perchè ne ha riconosciuto la validità. Da un lato ha compreso l'elemento di originalità della guida caratterizzato dal fatto che si parlava di vini prodotti con vitigni autoctoni italiani. Questo elemento di caratterizzazione ne fa una guida nuova sul mercato e difficilmente confondibile con le altre. Poi, dopo attente valutazioni di marketing, Touring ha investito su un prodotto editoriale che già si era collocato con il passato editore tra le guide più vendute in ambito nazionale. Gli esperti che curano le rubriche enologiche sul periodico "Qui Touring" hanno riconosciuto alla guida autonomia di giudizio e nessuna sudditanza ai mostri sacri dell'enologia italiana; il linguaggio semplice e comprensibile, il fatto che si portavano e si portano avanti vini piacevoli e di ampia bevibilità è stato un'altro argomento condiviso. Il matrimonio con Touring, editore fortemente caratterizzato in guide, spinge ad ipotizzare, insieme ad una più ampia diffusione, una penetrazione più incisiva a tutto vantaggio della valorizzazione dei produttori inseriti e della promozione dei loro vini. Teniamo presente che i soci Touring sono quasi 500 mila. Non mi aspetto che tutti consultino o comprino la guida, ma se uno su dieci solo la consultasse avremmo raggiunto un risultato storico.


D. Qualche mese fa, all'annuncio della rottura ai vertici di Vinibuoni d'Italia, intervistammo Carlo Macchi che ci spiegò che tra i motivi della scelta c'era una visione diversa tra Mario Busso e Macchi di vedere il futuro della guida. E' d'accordo? E se sì, ci può spiegare in cosa consistono queste visioni diverse?

R. Sì, i tre anni passati insieme, sono stati anni dialettici, dove sono emerse le divergenze di vedute sui vini e sul modo di intendere il giornalismo. Nelle precedenti edizioni il mio compito è stato quello di coordinamento generale a livello di redazione, mentre come sottolineava Carlo, è toccato a lui seguire da vicino molte delle commissioni, specie quelle nel Centro Sud. Ebbene proprio in quelle regioni ho colto in molti vini portati in guida forzature fuori luogo, orientate a privilegiare vini nostalgici . Ora la capacità della nostra guida si misura sulla difesa della tipicità, ma la tipicità non significa necessariamente rusticità o tagliare fuori il nuovo che avanza. Il concetto di corrispondenza vino-vitigno va contestualizzato storicamente in funzione anche della ricerca in atto da parte dei produttori. In alcuni casi all'apice delle valutazione - parlo da consumatore - sono arrivati vini esasperati, vecchi. Autenticità e tipicità sono capisaldi della guida, ma è necessario storicizzarle e renderle interprete delle evoluzioni che il settore comporta e della ricerca in atto che stanno portando avanti i produttori più seri. L'altro punto di divergenza sta a mio avviso nella "democrazia del progetto". Vinibuoni d'Italia è una delle possibili letture del pianeta vino e come tale costituisce un contributo di analisi e di didattica al vino. Oggi il giornalismo, specie quello televisivo, ci ha abituati ad una "dialettica" conflittuale, perchè manca l'umiltà del confronto ed ognuno si ritiene depositario assoluto della buona novella.

La cosa difficile da coniugare è la congiunzione dell'umiltà del giudizio, sostenuta dalla forza dialettica necessaria per difendere concettualmente un metodo di analisi. Ma democrazia di progetto, per me ex sessantottino, significa che non è necessario creare carismi. I coordinatori di Vinibuoni d'Italia sono protagonisti in prima fila del progetto e dicono con me una delle possibili verità sul vino, quella che diventa la chiave di interpretazione, di indirizzo e di lettura di un fenomeno, senza intransigenze e senza sostenere vessilli ideologici. Occorre ridare fiato all'idea che il confronto nasce da un'esposizione analitica che antepone la laicità del dubbio o di un condizionale all'impostazione profetica delle verità assolute.

Partendo da questi presupposti il ruolo del curatore, mio o di chi potrà in futuro sostituirmi perchè crede nel progetto di Vinibuoni d'Italia, lo identifico soprattutto nella funzione di un management organizzativo e di indirizzo ideologico.

La guida, ribadisco, è un progetto un work in progress dinamico, per nulla statico e per nulla fermo su idee preconcette per stabilire ogni volta dei punti di lettura e di equilibrio rispondenti alla contemporaneità dei fenomeni. Tutti noi, in genere, siamo propensi a difendere e premiare con più simpatia il lavoro del piccolo e meticoloso vignaiolo, ad apprezzare i meriti e risultati cui questo giunge, all'impegno che impiega nel presidio della vigna, ma dobbiamo sapere valutare in modo corretto le differenze che ci sono nell'intero comparto. Ho apprezzato ad esempio l'obbiettività con cui nella passata edizione in Veneto sono state valutate piccole e grandi aziende, ma non ho apprezzato alle finali il disappunto con cui è stato accolto da alcuni il verdetto unanime, quando scoperta la bottiglia, si è trattato di un vino prodotto da una grande cantina .

A seguito delle concentrazioni in atto, le grandi aziende avendo sotto mano grandi masse, possono indirizzare la loro produzione su vari livelli qualitativi, importante è capire anche in questo caso la loro continuità e la loro propensione ad offrire sui vari segmenti del mercato vini adeguati e corretti.

Altra riflessione è che la guida debba fare un ulteriore salto di qualità. Siamo ancora lontani dall'obbiettivo di far conoscere il mosaico di cui si compone il quadro degli autoctoni italiani, perché siamo piuttosto succubi delle icone consacrate e degli stereotipi; in altre parole non bisogna ricalcare la matrice di base con cui vengono stilati i giudizi di tutte le altre guide. Sebbene risulti scontato che vini come l'Amarone, il Barolo, il Brunello… debbano godere di un'attenzione meritata, l'obbiettivo di una guida che fa ricerca sugli autoctoni deve obbligatoriamente concentrare con più attenzione i suoi obbiettivi sui vitigni meno conosciuti, su quelli che danno vini più quotidiani e fruibili, vini meno blasonati ma più vicini al consumo. Ci sono vini minori difficili, penso ad esempio al Grignolino, ma se regionalmente cominciassimo ad evidenziare i migliori esemplari della tipologia, daremmo un'identità più forte al nostro approccio agli autoctoni e alla loro valorizzazione.


D. Visto che alcuni vostri degustatori si sono staccati insieme a Macchi, alcuni intraprendendo la strada del suo (di Macchi) nuovo progetto editoriale, ci può dare delle anticipazioni su quelle che saranno le novità anche da questo punto di vista per la guida?

R. Conoscendo la correttezza professionale di Carlo Macchi, mi ha stupito il modo con cui ha annunciato il distacco di alcuni coordinatori regionali da Vinibuoni d'Italia. E' opportuno quindi ricordare che a seguire il suo nuovo percorso di Carlo Macchi sono stati in tutto 6 coordinatori su 15. Oggi i coordinatori regionali sono 18 per coprire meglio e in modo più adeguato, le regioni vitivinicole italiane. I coordinatori nuovi sono stati scelti in modo che la loro esperienza professionale coniugasse l'abilità di degustatore con quella giornalistica. Questo perchè è quanto mai necessitante che il vino fuoriesca dalle secche del ghetto o dal dibattito circoscritto tra esperti o tra sommelier. Ricordiamoci che il merito delle guide è stato quello di avere indicato ai consumatori l'eccellenza, ma sarebbe interessante notare come il gruppo dei consumatori che fanno riferimento alle guide rappresenta in Italia meno del 10% del consumo. Un consumo elitario a scarsa partecipazione democratica! Spesso mi chiedo se era quello l'obbiettivo che le guide volevano perseguire?

Le novità dal punto di vista di Vinibuoni d'Italia è soprattutto quella di non limitare il suo valore mediatico all'evento di presentazione cui far seguire le vendite prenatalizie, ma di creare attorno all'iniziativa editoriale un corollario di eventi, facendo diventare la guida uno strumento di valorizzazione dei vini da vitigni autoctoni che è attiva tutto l'anno. E' un progetto ambizioso che però ci ha portato a creare sinergie con Merano, con Prowein, con Napoli e sta aprendo percorsi verso le città europee e su mercati inesplorati, come Budapest dove saremo presenti a fine settembre con una iniziativa molto importante in compagnia con Unavini. Personalmente credo nella collaborazione con soggetti che lavorano sui nostri stessi obbiettivi per diffondere e far conoscere il vino italiano nel mondo. Nel rapporto con le persone privilegio la collaborazione e mai le divergenze, anzi provo spesso a smussarle perchè non amo il protagonismo. Proprio con Unavini è partito il progetto Millevigne, circuito di enoteche italiano in cui i nostri vini coronati saranno presenti nei loro punti vendita.

Si tratta di un'interpretazione dinamica della guida che coniuga la degustazione a forti momenti di comunicazione e a percorribili indirizzi di marketing che non intaccano l'autonomia di giudizio della guida.

Una guida è ritenuta importante se insieme alla serietà dei suoi giudizi sa muoversi sul mercato, dimostrando che è in grado di influire sulle scelte degli operatori o quanto meno di stuzzicare la loro curiosità. Da qui il piano operativo di medio e lungo periodo che mi sono dato con Luigi Cremona e con Touring..

Per fare questo occorre creare nella coscienza dei produttori, dei vignaioli un movimento di entusiasmo sorretto da giudizi, che attenti alla qualità del vino, siano orientati verso la critica costruttiva e non distruttiva. Una critica più attenta a valorizzare il buono che a mettere in evidenza il cattivo. Come ho avuto modo di ribadire più volte a Carlo Macchi, nella mia esperienza didattica, ho constatato che premiare un piccolo progresso, piuttosto che inibirlo con valutazioni troppo restrittive, ha creato nelle persone i presupposti di riprese inaspettate verso il miglioramento che diversamente non sarebbe mai arrivato. I vini autoctoni che stiamo promuovendo sono spesso vini non facili, che vanno sostenuti perché si confrontano con i primi della classe di tutto il mondo. Spiegarli significa spesso sorreggerli e motivarli nelle loro diversità, dare delle attenuanti, ma soprattutto premiarli laddove - ripeto - fatti salvi i principi della qualità di base, quei vini rappresentano continuità nella ricerca e nella capacità di fare esprimere al vitigno e al territorio la tappa di una evoluzione perfettibile. Sono questi gli indirizzi che la Guida deve incentivare e premiare.


D. In generale cosa ci dobbiamo aspettare dalla quarta edizione di Vinibuoni d'Italia?

R. Soprattutto continuità sul piano dell'analisi organolettica dei vini e spero una più coerente valutazione dei vini del territorio, visto che i coordinatori regionali sono aumentati in numero, ma sopratutto lavorano da anni in stretto contatto con la realtà della produzione vitivinicola locale. Insieme a questi obbiettivi vorrei dare maggiore peso nella comunicazione.


D. Cambiando un attimo argomento, la sua guida si è distinta dalla sua nascita per trattare in particolare i vini ottenuti da vitigni autoctoni italiani. Oggi ci troviamo un po' alla riscossa dell'autoctono. Quali pensa siano le vere opportunità attuali per il mercato del vino italiano?

R. Oggi la parola autoctono è piuttosto abusata e spesso svuotata di significato. C'è il rischio, come spesso succede in Italia, che invece di andare a definire uno stile italiano del vino e una forte identità nazionale basata sulla diversità e la rarità dell'offerta, si crei una moda, giusto per superare una fase di mercato critica e vendere qualche bottiglia in più cavalcando la tigre del momento. A livello internazionale c'è attenzione ai vini di nicchia italiani, diversi l'uno dall'altro perchè il patrimonio dei vitigni italiani è il più vasto del mondo e perchè le condizioni pedoclimatiche e culturali - il famoso terroir - sono rispondenti a condizioni geografiche e storiche che definiscono la peculiarità e la diversità del sistema Italia.


D. Pratiche enologiche. Quale il futuro per il vino italiano se, come pare ormai certo, passeranno le nuove tecniche per fare vino con la Ocm?

R. Sarebbe una scelta, al di là di ogni considerazione ecologica e ambientale, che spara sul sistema Italia e sull'impostazione del mercato del vino, dove nell'ambito della globalizzazione, il diverso, il raro, il tipico ritengo possano spuntare un ruolo sempre più decisivo, soprattutto in rispondenza del fatto che la viticoltura italiana è fatta di piccole realtà. Il nostro paese ha un sistema agroalimentare unico, caratterizzato da una superficie agricola molto parcellizzata e da una forte interdipendenza tra contesti territoriali e culturali. Solo i ciechi non vedono che le produzioni tipiche e di qualità si sono ormai affermate come valido motore di sviluppo anche a livello internazionale. C'è poi la necessità di tutelarsi dal rischio della contaminazione. Da quello che leggo, il principale rischio per i nostri vitigni è quello legato alla contaminazione accidentale,il che mette a rischio l'intero patrimonio vitivinicolo.


D. E le guide come reagiranno all'assaggio di un perfetto vino ottenuto con l'uso di chips, o ottenuto da frammentazione?

R. Condivido quanto ha detto recentemente Zambon, presidente delle Città del Vino, ovvero che la pratica enologica in uso negli Stati Uniti e ora ammessa anche in Europa va decisamente contro la tradizione e l'identita' vitivinicola europea e italiana. Il vino di qualita' non e' una bevanda che si ottiene per aggiunta di ingredienti. Ammesso che questa pratica non comporti alterazioni organoloettiche, ne' rischi sanitari, sono profondamente convinto che sarebbe "scorretto" nei confronti dei consumatori, non metterla in evidenza e credo che fin da subito occorra che diventi obbligatorio scrivere in etichetta che il vino è stato elaborato con uso di chips. Detto questo, dal momento che la guida Vinibuoni d'Italia valorizza prodotti tipici di qualita' e la corrispondenza vino-vitgno-territorio; dal momento che la guida in questi quattro anni ha fatto la sua battaglia contro l'uso sconsiderato delle barriques e sui vini di falegnameria, mi sento di condividere e di difendere il patrimonio vitivinicolo italiano auspicando, anche ai fini stessi del mercato, che l'Italia persegua una linea autonoma che alla lunga potrà pagare.


D. Come vede il mondo del vino nel 2020? Provi a darci una sua previsione su mercato, promozione, marketing; in generale crede che l'enfasi mediatica di questo momento crescerà o andrà incontro ad una crisi?

R. Lo scenario non offre orizzonti tranquilli - se pensiamo che anche la Cina si appresta a modo suo e con i suoi sistemi ad invadere il mercato di settore - ritengo che l'Italia debba obbligatoriamente differenziarsi puntando sull'identità. Io credo che l'Italia nel contesto mondiale debba progettare la propria diversità e debba occupare nell'immaginario del consumatore mondiale un spazio particolare ed esclusivo. C'è nel mondo del consumo evoluto un'esigenza di genuinità, di naturalezza, di diverso e di varietà. L'Italia, con il suo patrimonio di vitigni e di culture, ha tutte le carte in regola, ma deve avviare e portare nel mondo un progetto di immagine e di valorizzazione del vino giocando la carta dell'autoctono in modo serio e non modaiolo. Se si intraprende questo cammino nel 2020 i vini italiani potrebbero definirsi unici nella miscellanea dell'omologazione verso cui si sta andando.


D. Chiudiamo l'intervista con la tradizionale domanda: cosa fermenta nel tino di Mario Busso? (tradotto: cosa bolle in pentola?)

R. Nel tino, non tanto di Mario Busso, ma nel coro del gruppo di tutti coordinatori, ci sono diverse iniziative alcune più immediate e le altre che rimandano al mondo onirico. Ma come diceva monsignor Herbert Càmara, alludendo alla via democratica del Brasile, chi sogna è a metà del cammino. A Merano, dove verranno presentati i vini coronati, partirà il progetto di un grande premio giornalistico internazionale intitolato "Bevi l'Italia". L'intento è quello di coinvolgere l'opinione nazionale mondiale sulla peculiarità del territorio e del vino italiano e su quello che la nostra guida sta facendo per promuovere la cultura enoica del nostro paese. Si sta creando anche un comitato scientifico di riferimento collegato all'Università per una collaborazione scientifica sui vitigni autoctoni e un progetto rivolto alle scuole alberghiere.

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Alessandro Maurilli è nato nel 1980 in un piccolo paese della provincia di Arezzo, nel cuore della Valdichiana. Dopo aver frequentato gli studi...

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