Torna anche per il 2007, seppure con un mese di ritardo, l'appuntamento davanti al calice con alcuni dei personaggi del vino. La prima intervista dell'anno è stata pensata intorno a un tema che nel 2006 ha fatto tanto parlare per un sentore di crisi e per proposte "innovative" circa la sua risoluzione. Si tratta dell'editoria del vino, tra carta stampata e web, che in questi anni è cresciuta a dismisura per poi arrivare a una selva di riviste e rivistine che hanno in certi casi confuso, in altri cambiato, le idee e i punti di vista dei consumatori/lettori sul vino e sul suo consumo. Nel trattare il tema non potevamo parlarne se non con il direttore di una delle riviste più blasonate del panorama italiano. Sto parlando di Porthos e del suo ideatore, fondatore, direttore Sandro Sangiorgi. Il personaggio di questo mese non ha bisogno certo di presentazioni. Nel corso della interessante intervista davanti a un calice di Bonarda di Camillo Donati, al Direttore abbiamo chiesto come nasce un progetto editoriale e quali sono gli sviluppi di questi anni.
D. Sandro Sangiorgi e la passione per il vino: quando e dove nasce questo amore?
R. Mio padre aveva un ristorante. Da subito il vino mi ha colpito. Fin da piccolo ho sempre avuto una forte passione per il collezionismo: francobolli, monete e altro. Di conseguenza anche le etichette delle bottiglie hanno cominciato a suscitare la mia attenzione. I nomi delle aziende, le zone vitivinicole ecc. Da lì ho cominciato a documentarmi leggendo i libri di cucina che aveva mio padre. In particolare La Cucina Italiana di Luigi Carnicina che al suo interno aveva una sezione di vini curata da Gino Veronelli il quale era riuscito a dare un taglio molto personale. Da lì il corso per sommelier e poi avanti fino ad oggi.
D. Le tue esperienze in campo didattico ed editoriale ti hanno aperto la strada di Porthos. Da dove e come nasce l'idea della rivista?
R. Io sono stato insegnante di corsi per sommelier. Sono stato tra i fondatori di Arcigola. Siamo negli anni '80 quando ho cominciato a maturare un'esperienza di indipendenza rispetto ai poteri forti. Questo il senso di Arcigola. Un gruppo di persone che vogliono educarsi, educare e cercare di condividere certi valori. Alla fine degli anni '90 Slow Food e Gambero Rosso hanno cominciato a dare un taglio alla guida dei vini che non mi rispecchiava. Ecco allora che nasce Porthos sempre con lo stesso intento di cercare di dare un'informazione libera.
D. In questi sette anni che tipo di evoluzioni o mutamenti ha avuto la rivista?
R. Ci sono stati dei mutamenti di contenuti dovuti alla mia trasformazione personale e a quella dei collaboratori che sono rimasti sempre con me. Credo che non ci siano altri elementi che ci hanno condizionato in questa trasformazione/maturazione. Abbiamo cominciato a maturare un desiderio di non lasciare il vino da solo. Nella trasformazione del nostro modo di fare c'era proprio l'esigenza di rendere interdisciplinare la percezione estetica del vino perché più si riescono a maturare elementi di questa percezione più si può comprendere il vino. Questo è quello che sfugge alla maggior parte degli altri che spiegano il vino. Vogliamo non soltanto insegnare il vino in se stesso, ma occorre spiegare tutto ciò che sta intorno al prodotto.
D. Oggi Porthos è una delle riviste più apprezzate del settore. Qual è l'obiettivo principale e quale il progetto che anima la sua realizzazione?
R. L'obiettivo principale è quello di coltivare i lettori e quindi quello di avere i consumatori/lettori come vera controparte. Stimolarli a lavorare sulle proprie capacità sensoriali perché così si può diventare esperti e quindi migliorare la produzione del vino perché il vino migliora solo se il consumatore è consapevole di quello che beve. Uno degli elementi fondamentali che anima il nostro lavoro è quello di spingere il consumatore a percepire il vigneto che dà vita al liquido. Questo può spingere i produttori ad avere sempre di più maggiore rispetto per il vigneto e quindi per il vino stesso. La rivista non ha come controparte i produttori del vino, ma i suoi consumatori. Il consumatore che si lamenta spesso deve imparare a usare i propri sensi per scegliere. E in questo non possono contribuire i commercianti e i produttori. Solo spingendo il consumatore a una percezione matura del prodotto è possibile portare avanti l'idea di poter recuperare un approccio più naturale alla gestione agricola del vigneto da parte dei produttori.
D. Porthos non ha pubblicità legata al vino. Vende per abbonamento. In un periodo così pieno di concorrenza quanto è difficile andare avanti in questo settore?
R. Io non ho mai pensato a Porthos come uno strumento per parlare dell'immediato, delle notizie istantanee. L'unico modo che Porthos ha per sopravvivere è quello di non tradire la vocazione di chi ci lavora e di chi lo legge. I soldi certo sono pochi, però io sostengo che un'iniziativa come questa non debba guardare solo al lucro. Io penso a mantenere fedeli gli abbonati che ci seguono da tanto. Ci potrebbero essere strategie per far crescere questo numero, ma forse si andrebbe contro alla filosofia della rivista.
D. Negli ultimi anni Porthos è arrivato sulla rete. Una scelta obbligata o ragionata?
R. Io non mi occupo personalmente del progetto del web, ma Damiano e Giampaolo, due miei collaboratori, quindi l'impostazione rispecchia il loro modo di pensare la comunicazione del vino. Non ci può essere una coincidenza perfetta tra web e carta. Il web rappresenta una sorta di prolungamento della rivista. Grazie al web si possono commentare fatti dell'attualità, cosa che non vogliamo e non possiamo fare con la rivista.
D. Tu quanto credi sulle potenzialità del web?
R. Io moltissimo. Abbiamo fatto molti sacrifici per mantenere il sito. Cerchiamo ogni giorno di fare di più proprio perché lo ritengo un mezzo importante per dare un valore aggiunto al prodotto cartaceo.
D. Lo scorso anno qualcuno senza fare nomi aveva proposto al Governo dei finanziamenti nei confronti di una certa editoria del vino intesa come promozione della cultura. Tu che ne pensi?
R. Non amo l'assistenzialismo. Quindi la trovo una cosa inutile e sterile. Basta vedere cosa è successo e succede sulla editoria generalista.
D. Parliamo ora un po' del vino. Molte le politiche a riguardo. Secondo te bene o male? Bene o male una politica unitaria o dovremmo guardare di più a sviluppare una strategia interna?
R. Il discorso è articolato. In linea di massima secondo me uno degli errori che si fanno oggi è non considerare che il vino è prima di tutto agricoltura. Ecco che allora occorrerebbe valutare prima della produzione la situazione. Non sarà facile mettere d'accordo persone che hanno per anni vissuto di agricoltura intensiva. Diverso è invece il concetto di promozione del vino. Uno degli errori che si fanno ultimamente è quello di dovere andare dietro a chi va bene. Noi dovremmo lavorare invece sulle nostre qualità del vino, sulla nostra indole. Se si tradisce il nostro contenuto nel lungo periodo non si potranno avere buoni risultati. Il mercato è ciclico. Dobbiamo seguire le nostre caratteristiche e cercare di migliorare gli spazi negli altri paesi.
D. Concorrenza estera ai nostri vini: leale o sleale?
R. Nel momento in cui si accetta la concorrenza questa è leale. Ovvio che in alcuni paesi il costo del lavoro è più basso, si utilizzano metodologie meno costose. Noi non dobbiamo concorrere sul prezzo, ma puntare a prevalere sugli altri portando in avanti le nostre peculiarità come grande valore aggiunto.
D. Cosa fermenta nel tino di Sangiorgi?
R. Alla fine di marzo uscirà il mio libro dedicato alla degustazione "L'invenzione della gioia". Questa è una delle cose più importanti e più delicate che io abbia mai fatto nella mia vita professionale.
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