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Il mondo delle acquaviti

Il brandy italiano

di Angelo Matteucci

Nell'anno di grazia 1300, durante il Giubileo a Roma vi fu un incontro storico tra Arnaldo di Villanova, chiarissimo professore degli atenei di Parigi e Montpellier ed il suo amico e collega Raimondo Lulli. In quella circostanza furono discussi i benefici apportati alla medicina dal prodotto distillato definito dal Villanova, la "quintessenza", l'acquavite.

Nel nostro Paese, a cominciare dalla antica scuola di medicina sorta a Salerno, l'arte della distillazione si stava diffondendo con l'utilizzo principale del prodotto alcolico nazionale, il vino. Passarono i secoli nei quali la distillazione si perfezionò e trovò impieghi inizialmente in medicina ed in seguito anche e soprattutto nell'alimentazione. La storia della moderna distillazione di vino nasce principalmente per volere di alcuni stranieri che hanno trovato in Italia un terreno particolarmente fertile per applicare questa arte antica. Possiamo definire la Sicilia come luogo di inizio della nuova era a partire dal 1773 con l'arrivo dell'inglese John Woodhouse che, sulla base anche di esperienze inglesi in altre nazioni, decise di distillare il vino per fortificare il marsala.

Altri due inglesi Benjamin Ingham nel 1806 e suo nipote Joseph Whittaker nel 1812 contribuirono al ripristino della distillazione sull'isola. A Bologna nel 1820 giunse dalla Francia Jean Bouton il quale cambiò il nome in Giovanni Buton e creò la propria distilleria. Nel 1832 il calabrese Vincenzo Florio fondò a Marsala l'azienda che porta il suo nome ed iniziò a produrre sia il famoso vino marsala che un eccellente brandy. Altri francesi distillatori come i fratelli Landy nel 1870 e René Briand nel 1935 scelsero il nostro Paese per vivere e sviluppare il proprio lavoro così come fece Lionello Stock che giunse dalla Dalmazia nel 1884 per aprire a Trieste la prima delle sue distillerie. Naturalmente ci furono altri italiani, oltre a Vincenzo Florio, come Ausano Ramazzotti nel 1845 a Milano come la famiglia Branca che produsse il "vieux Cognac", Antonio Carpené, Pilla ed altri ancora.

Se si vogliono ottenere piccole partite, la distillazione avviene in alambicchi discontinui del tipo charantais utilizzati normalmente nella regione francese di Cognac. L'alambicco discontinuo è notoriamente valido per produrre distillati di alta qualità. In altri casi, quando l'obiettivo è anche la grande quantità, viene utilizzato il distillatore continuo con risultasti spesso di alto pregio anche per questi prodotti definiti industriali. I vini utilizzati sono principalmente trebbiamo toscano o di Romagna ma possono contribuire anche altri vitigni come l'asprino o asprinio, il prosecco ed il raboso. Vengono preferiti i vini bianchi di bassa gradazione, con un'acidità abbastanza alta. Nel caso di utilizzo di vini rossi si scelgono prodotti poco tannici con una buona acidità come ad esempio il vino barbera.

I maggiori consumi di brandy italiano sono avvenuti nei decenni successivi al conflitto mondiale per iniziare un declino, come altri distillati, a partire dagli anni ottanta. Tuttavia possiamo riscontrare una migliore qualità produttiva per buona parte dei "nostri distillati di vino" a tal punto che un attento assaggio di alcuni brandy italiani dona spesso delle sensazioni particolarmente piacevoli.

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