C’è poco da fare. Chi lavora (termine che non uso a caso) on-line viene sempre visto come cazzeggiatore o shampista, a seconda che il sesso sia maschile o femminile. Da che mondo e mondo. E da che internet ha scardinato le consuetudini e il modo di lavorare di molti. Il problema è che internet, nonostante tutto, non si è ancora sdoganata dall’idea di essere un ricettacolo di adolescenti brufolosi che preferiscono usare Facebook piuttosto che risolvere equazioni di secondo grado, e che il solo fatto di scrivere on-line faccia perdere di autorevolezza allo scritto e all’autore: atteggiamento miope che dà più importanza al contenitore che al contenuto.
Ne è triste esempio lo scontro fra il direttore Ferruccio de Bortoli e il Comitato di Redazione del Corriere della Sera. Scontro che si è consumato su una questione molto semplice: il lavoro on-line e il lavoro del giornalista. Come se le due cose fossero in qualche modo separate e il giornalista fosse tale solo ed esclusivamente quando lavora e scrive su un giornale cartaceo.
Non ci si rende conto, nel piccolo mondo enogastromico in cui ci divertiamo a lavorare, che sono finiti i tempi in cui una recensione di Veronelli poteva cambiare le sorti di una cantina o di un ristorante. È cresciuta la squadra dei recensori, sono aumentate le guide, sono aumentati - per quanto ancora? - i lettori. Ma il ruolo di guru enogastronomico non appartiene più a nessuno. C’è semmai una nuova generazione di persone disposta a condividere sensazioni ed emozioni attraverso scritti, foto, video e lo fa in maniera appassionata, il più delle volte gratuita.
Questo fornisce un servizio in primis ai 20 milioni di italiani collegati in rete, e in seconda battuta al recensito (locale, vino, servizio, automobile, libro, film), che senza spesa alcuna si vede proiettato all’interno di una rete di persone che dialogano fra loro. Il famoso passaparola.
Non mi fascerei poi la testa per i soliti cretini che scrivono recensioni negative senza essere in grado di distinguere un uovo da una bistecca o un Soave da un Pinot nero: la rete tende ad autodepurarsi autonomamente, e gli incompetenti hanno vita breve. Stare fuori dal flusso di informazioni e dal fermento che vive in questi anni la rete è deleterio. Bollare come incompetenti e indegni di attenzione i produttori di contenuti on-line (leggi blogger) è sciocco e infantile.
Niente di nuovo sotto il sole, insomma.
Davide Cocco nasce nel 1974 a Valdagno, all’ombra dello stabilificio Marzotto. È figlio, come molti suoi coetanei, della crisi...
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Inserito da Luca Ferraro
il 12 ottobre 2010 alle 12:32