Due grandi gruppi: i molluschi cefalopodi (polpi, calamari, moscardini, seppie) da una parte. E le verdure (bietole, cavolo nero, carciofi) dall'altra. Insieme, insomma, buridda. Uno di quei piatti che sanno di Genova come pochi, con le trippe, lo stocche, la farinata. E poi la focaccia e le trofie al pesto, la pasqualina e il polpettone. E poi, “che buridda!”, che all'ombra della Lanterna descrive uno stato di confusione, agitazione, remescio. Buridda è Genova, già nel suono, con quella doppia che sa di maccaia, di parole rafforzate per affrontare il vento. Più che un piatto, è un modo di vedere la vita. Un po' è arrangiarsi, un po' è sublimare, un po' è trascendenza. Tanto è pancia piena. Buridda è un moto dell'anima. Buridda è il tempo che viviamo, così confuso, così schizoide. E allora, in questa buridda, bisogna essere buoni minatori. Armati di pazienza, a muso buono, cercare il filone giusto, individuare i frammenti preziosi, e farli durare, e dargli spazi. Sapendo che dopo una buridda c'è sempre un'altra buridda da affrontare, che una buridda tira l'altra. Che tanto va la seppia al cardo che ci lascia la buridda. E allora, buona buridda a tutti.
[Image credit: http://www.brooklynartproject.com]
Sono nato a Genova nel 1981. Sono cresciuto inghiottendo focaccia su focaccia. Da bambino mi sono rotto una gamba e lussato il gomito sinistro....
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