Sebastião José de Carvalho e Melo - che in seguito sarebbe diventato Conde de Oeiras e quindi, finalmente, Marquês de Pombal - si svegliò senza il consueto assordante accompagnamento di campane e, per il momento, senza titoli altisonanti. Era, infatti, ancora troppo presto anche per i preti e faceva un freddo terribile quel 10 gennaio del 1756. Una brezza gelida scendeva lungo il Tago e ripuliva Lisbona – o quel che ne restava - dalla nebbiolina della notte spingendo le navi fuori dall’estuario verso le avventurose rotte transatlantiche, portando lontano i miasmi degli incendi che ristagnavano nell’aria della capitale.
Si voltò su un fianco con una certa fatica, vista la cospicua mole, e appiccicò il corpo alla schiena della bionda gallega tredicenne appena pubere dalle gambe lunghissime e dagli occhi color fiordaliso che Álvaro, il suo uomo di mano, aveva comprata con regolare contratto per un periodo non inferiore ai due anni, dai genitori, in un paesino vicino a Vigo.
A palazzo avrebbe avuto l’incarico di “Criada particular de Dom Sebastião José de Carvalho e Melo” che per quei tempi era un concetto chiarissimo (un po’ meno chiaro pare fosse il concetto di pedofilia…); erano, comunque, passati sei mesi e fra un intrigo e l’altro, con tutto quell’accidente di caos del terremoto e del maremoto nel giorno di Ognissanti e poi degli incendi che parevano uscire diret-tamente dall’inferno, lo stato di verginità della biondina perdurava e Sebastião José cominciava ad averne abbastanza degli sguardi perplessi che la ragazzina gli lanciava in tralice sotto le lunghe scu-rissime ciglia.
“Va via” le disse spingendola pian-piano, delicatamente con la grossa pancia fuori dal letto a colonne tortili. “Non mi scalda neppure- pensò - Troppo poca sostanza! Devo dire a quel pezzo di cretino di Álvaro che me ne cerchi un’altra… Più in carne e più esperta, però!”
Vedendo uscire la ragazzina il valletto si era precipitato dentro ed aveva cominciato a fare la consueta serie di inchini protocollari. “Faz frio, imbecil. Basta con tutte ‘ste fesserie” l’imbecil si precipitò a coprire il “Primeiro-Ministro do Reino” e futuro Marquês de Pombal con una enorme vestaglia di ricchissimo damasco di seta lavorata, mentre entrava al galoppo il cuoco personale con il “pequeno almoço” seguito da un paio di sguatteri che recavano bottiglie d’argento cesellato e calici di cristallo di Boemia.
Dallo spiraglio lasciato aperto dal passaggio di tutto questo caravanserraglio si insinuò un’ombra nera-nera, lunga-lunga: era Don Arsenio, un gesuita che “O Rei Dom Josè I” gli aveva affibbiato quale segretario particolare, memore delle voci che erano corse ai tempi di suo padre, D. João V, sull’affiliazione del suo fidatissimo e bravissimo Primeiro-Ministro all’odiata massoneria.
Ora già al Nostro i gesuiti non erano simpatici, in più Don Arsenio era fisicamente il suo contrario e, massimo delle sventure, aveva un occhio strabico che pareva sempre andar giù sul capiente ventre del “Primeiro-Ministro”; da ciò immaginate quanta pazienza… E sì che il futuro Marquês pazienza ne teneva poca, ma proprio poca…
Il cuoco, intanto aveva imbandito una sontuosa tavola con pernici arrosto, biscotti e pane appena sfornato, una cioccolatiera d’argento olandese ricolma e - come poteva mancare – una splendida ca-raffa di cristallo intagliato, rubizza di Vino di Porto. “Vieni Reverendo” disse Dom Sebastião José al gesuita che attendeva sullo sfondo “Bevi un po’ di questo nettare che ti scalderà. So che le notti sono lunghe e fredde per voi religiosi.”
Don Arsenio sorrise agro e prese il calice che uno dei servi gli tendeva, fece un rapido segno di croce e lo portò alle labbra. Il futuro Conde de Oeiras ecc. ecc. lo guardava intanto con attenzione. Il religioso, assaggiato il vino fece subito una boccaccia, lo sputò con forza, buttò il calice e guardò terrorizzato il Nostro con entrambi gli occhi, questa volta. “Non hai sete Don? Não gostas do Vinho do Porto? “ Dom Sebastião José fece una pausa e si versò un po’ di cioccolato in una capace tazza. Cominciò a berlo con fare pensoso, sbocconcellando un biscotto bello caldo. Finito che ebbe, posò il tutto e berciò “Chi ha ha preso il vino nella cantina? Cuoco: fai vedere la bottiglia! Pedazo de imbezil!” il tutto con voce di tuono e viso da Giove Pluvio molto, molto irato!
Il ‘Cozinheiro’ che aveva solo obbedito a precisi ordini del padrone, al sentirsi così rudemente apostrofato trasse la bottiglia dal suo carrello porgendola tutto tremante al “Primeiro-Ministro do Reino” che, impaziente, misurava la stanza a grandi passi. “Sicuro che é questa e non un’altra? Mira que te jogas a cabeza!”.
Il cuoco, più bianco del suo candido grembiule, assentiva disperatamente senza proferir parola: “Està bem! Vattene.” lo congedò il Nostro con un gesto della mano, graziosamente.
Prese la bottiglia originale e la rigirò fra le mani; guardò fisso Don Arsenio “Eppure è quello dei tuoi buoni amici… quelli che lo hanno inventato. Gli inglesi sai? Quelli ai quali tu e i tuoi confratelli fate rinnovare le esclusive sulle vendemmie anno dopo anno”. Il gesuita taceva prudentemente, ma il Nostro gli era già addosso enorme e minaccioso.
“Ma sì, non capisci? I tuoi amici, quelli che per comprare i nostri vini, ci obbligano a comprare le loro stoffe. Dal 1706. Dal trattato di Methuen!” “Mio Signore…” “Taci prete!”
Sebastião José era arrivato al punto desiderato: “Tu gli rinnovi le esclusive usando il mio Sigillo.”
Tacque, si appoggiò al tavolo e gridò “O Selo do Rei! Il Sigillo Reale, pazzo! E i tuoi amici, i loro compari, pagano sempre meno. I contadini lasciano le vigne. Le vigne muoiono, che nessuno più le cura; e loro, os malandros, compram porcarias e fazem merda. Una merda che chiamano Porto e che va in giro, nel mondo. E i prezzi van giù, sempre più giù!” terminò paonazzo, urlando a squarciagola.
Il “Primeiro-Ministro” sembrava stanco, ora, pareva non avesse più voglia di parlare e il gesuita non si azzardava a proferir verbo.
Fu quasi con dolcezza che Sebastião José gli si rivolse “O Rei Dom Josè I há sido informado. Tutti i documenti sono stati prodotti. O trabalho de informação há sido acabado e todo è pronto para castigar os traidores do reino.”
Si voltò verso il gesuita: “Arsenio, ti accuso di aver complottato con mercanti stranieri senza Dio e senza onore per tradire il Re rovinando la nostra economia e tanti contadini e commercianti onesti e timorati. Il tutto in combutta con tuoi confratelli traviati da Satana e per sordido tornaconto personale.”
La porta si spalancò fragorosamente spinta da tre armigeri che afferrarono saldamente il religioso che “Voglio appellarmi al Re!” urlò a pieni polmoni.
“O Rei ja sabe…” rispose il Nostro “Non preoccuparti, avrai giustizia! Essendo un religioso, inoltre, non sarai processato da un tribunale de Re”
Qui si voltò verso la tavola imbandita e sgranocchiando un altro biscotto, che doveva essere davvero delizioso, “La tua anima sarà consegnata alla Santa Inquisizione che accerterà la Verità di Dio. Il tuo corpo, o quello che ne resterà, sarà consegnato al Braccio Secolare; come d’uso” disse. La porta si richiuse sugli armigeri che trascinavano Arsenio semisvenuto.
* * * * *
Questo raccontino, da me molto liberamente inventato, è la rappresentazione fantastica della fine della lotta che veramente ha opposto il Grande Riformatore ai proprietari inglesi ed olandesi delle cantine di Oporto e Vila Nova de Gaia per la razionalizzazione della economia agricola delle vigne del Nord del Portogallo e, con essa, della produzione del famoso Vino di Porto.
Il quale, Vino di Porto, é invenzione di mercanti Inglesi che, ‘fortificando’ con acquavite la fermentazione dei duri, potenti vini dell’Alto Douro, avevano ottenuto, dopo opportuno, accurato invecchiamento, il nettare da tutti conosciuto.
Peccato che, ai tempi del Nostro, tale virtuosa fatica fosse assai decaduta, nella qualità, per adulterazioni ed eccesso di speculazione.
In effetti il 10 settembre 1576, seguendo quanto fortemente voluto dal suo Secretario de Estado do Reino e Primeiro-Ministro Sebastião José de Carvalho e Melo – a sua volta spinto dai grandi proprietari viticoli - e sulla base di un enorme lavoro tecnico, legislativo e normativo, il Re Dom Josè I isti-tuiva, con proprio personale decreto, la Companhia Geral da Agricultura das Vinhas do Alto Douro dotata di mezzi atti a equilibrare la produzione, il commercio, evitare adulterazioni e stabilizzare i prezzi delle uve e dei vini.
Con la stessa normativa, si delimitava la regione di produzione con 335 cippi di pietra con la iscrizione “Feitoria” – fattoria - che contrassegnavano il vino di miglior qualità, l’unico che si potesse e-sportare in Inghilterra, dando così una regola sia alla produzione che al mercato del Vino di Porto. Regola che ancora oggi vale ed è presente nel Catasto ( o “Cadastro”) della Zona. Noi posteri, se ancora oggi possiamo bere quel nettare, lo dobbiamo a lui: Sebastião José de Car-valho e Melo Conde de Oeiras e Marquês de Pombal.
Ah, sì: e i gesuiti che c’entrano? C’entrano esattamente quanto i cavoli a merenda.
Il Marquês però, nel 1759, tre anni dopo i tempi della mia favoletta, li ha fatti espellere dal Portogallo e da tutte le sue colonie (circa la metà del mondo allora conosciuto) espropriandoli, ovviamente, di tutti i loro beni. I Soldati della Compagnia mi tornavano bene ai fini narrativi e allora ce li ho ficcati dentro, tanto è fantasia e poi peggio di così non gli sarebbe potuta andare, allora…
A proposito: la Santa Inquisizione no, quella non l’ha fatta espellere. Quella se l’è tenuta e pare gli abbia anche fatto comodo. Cacciati i gesuiti, però, l’ha un po’ ridimensionata: basta autodafè e basta perseguitare ebrei e musulmani convertiti che quelli servivano alle università di Coimbra e Lisbona, e poi, sennò, dove li trovava i medici, quelli bravi? Insomma un vero progressista…Beh…
Sebastião José è morto pacificamente nei suoi possedimenti il 15 maggio 1782. Non so se abbia avuto diritto ad un posto in Paradiso, ma per noi enofili é certo nell’Empireo dei Benemeriti!
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Inserito da Paolo Carlo Ghislandi
il 29 maggio 2009 alle 17:43Ciao
Paolo