Giornate narrative nascono dall’immaginazione degli dei. Giorni avanzati alla routine, disfatti dalle necessità, resti di un sacrificio ermetico; pezzi di un corpo divino che per rifarlo intero bisogna espiare la colpa di averlo diviso.
I giorni sono tanti, la somma che chiamiamo vita semmai è breve. Una somma non vive, è solo una fredda enumerazione della qualità. Giacché la vita è valore vivente.
Narrative giornate vengono giù dal cielo come agenti celesti a raccontarci quello che svolgiamo.
Un piacere segreto tengo tra le mani, guidare la mia Uno già malandata, precaria come la vita che può sempre fermarsi tuttavia va…va..
Sono alcuni giorni che sono in ferie, vendo il mio tempo in letture e fantasie solitarie.
Il Bar sa di canzoni del primo Gaber, barbera e champagne, un Cerrutti Gino è dovunque, drago in amore, serpe nella vita.
La mattinata è fuggita in questo lunedì di settembre.
Giro con la mia Uno in una deserta cittadina delle Marche preda di un voglia che non so interpretare.
Prendo la Salaria per dispetto che va verso Roma facendo il sentiero a ritroso del Tronto, fiume di confine che ne sa tante e se le tiene strette.
Non so dove andrò a finire. Il primo pomeriggio sebbene tenda già a farsi un poco stanco è ancora vigoroso di sole. Il cielo è un foglio d’un quaderno delle elementari, macchiato un poco da qualche nuvola d’inchiostro.
Attraverso Ascoli Piceno con la musica leggera leggera, alcune sonate di Scarlatti, eseguite da un grande Orowitz, vecchio di 80 anni che tocca i tasti del piano come una fanciulla innamorata.
L’appennino è aspro, una muraglia appassionata di boschi. Alte colline annunciano montagne, verdissime di castagni, di querce, fanno la paura migliore che sia, quella che segue e anticipa lo stupore.
Ogni volta che Acquasanta Terme ti vede passare in te nasce una nostalgia, muore un’illusione. Vai verso Roma nutrice d’una soggezione imperiale. Tanti dei miei sono cambiati per questo destino. Hanno lasciato un ricordo, hanno sperato un ritorno. Nulla va perduto a questo mondo. Del resto per noi che siamo umili contadini benché immemori della fatica e della miseria, non sappiamo svellere dall’anima l’originaria radice…guai se riuscissimo !
La salaria è tortuosa, come il Tronto, ruscello che segue un corso per fiumi novelli.
A Trisungo svolto per Norcia. Città fortificata dai Sibillini, che a valle si trastulla a contare le vette come fossero stelle.
Fatica è andar su, scendere giù. Norcia come una madonna di Giotto, tornita, scolpita, si cinge di mura come una veste. Orowitz per giunta si commuove con una sonata malinconica che ripete un solo tema per dire tanto.
Continuo, ancora non pago, verso altra meta, il giorno è ancora là con le palpebre aperte e le pupille fiammeggianti.
L’umbria è un’opera notturna, una sonnambula.
E’ il cuore verde d’Italia ? No ! Un eremo sapiente di ombre che ha un grande oceano sulla testa: il cielo.
Le montagne sono suore cattive, frati spaventosi che pregano dolcissimi santi.
Spoleto rimette un moto una memoria, mentre vi passo sotto a velocità sostenuta. Tra le sue ripide salite di pietra, le sue discese di alberi, una giornata di pioggia. Un amore finto che si consolida di nuovo dopo che il tempo ne ha fuso il freddo metallo. Un bacio, qualche bacio…inzuppato di poggia ancora vola per asciugarsi.
Vado fantasticando nel silenzio melodioso della mia Uno la quale gloriosamente raggiunge le fonti del clitumno. Luogo sacro, acque palcide nel violento abbandono della natura. Il sentimento finge una poesia. Chiunque vi passi, vi sosti, in segreto vi lascia un canto.
Io, nel corrervi a fianco alla folle velocità di 70 km all’ora, nulla vedo se non l’impressione che il cuore che guarda davanti preoccupato della strada ogni tanto si volti.
L’umbria, dunque, nel suo battito dolceverde, provoca un’amarezza floreale per fortuna.
In questa vallata circonfusa tra le montagne che prevede città antiche, borghi incogniti, castelli diroccati, torri e chiese che cadono dal cielo, corro a raggiungere un paese. Torgiano.
Mi viene da pensare che negli ultimi tempi imparo le contrade d’Italia attraverso il vino che assaggio come fosse il sangue di un corpo che vado di poi a trovare, a conoscere.
Si ! Il rosso di Torgiano l’ho bevuto da solo, come premonizione di questa giornata. Solo come un poeta disperato di allegria.
A volte bisogna pur piangere di fronte a se stessi, senza paura che le lacrime sconvolgano i tratti del viso. Strana allegrezza mi capita allorché voglia ficcare il naso dentro di me.
Da solo dunque mi dedicai questo vino che acquistai con maledetta pazienza. Ne avevo già letto le proprietà, gli odori, i gusti.
Andavo pensando nel leggere a suo riguardo che a nessuno venga mai di dire di un vino quale ebbrezza sia capace, quale vaghezza procuri, se illumini o oscuri, se pacifichi o no. Oh certo! Di questo non v’è analisi oggettiva che soddisfaccia l’intelletto. Comunque a me sembra che si possa anche favorire un’indagine della qualità di un vino per i moti del cuore che procura.
Torgiano adunque è un rosso equilibrato e potente, se potessimo rappresentarlo attraverso un arcano maggiore direi La Giustzia.
Sono arrivato in paese mi pongo a vedetta della torre di Giano che dà il nome al paese, che pare finta, che pare messa lì apposta per me.
Una vecchierella che passeggia ingobbita si trastulla a squadare me con la stessa comicità mia nel mirare la torre.
Non esiste una ragione perché quella torre adesso somiglia al bicchiere che usai quel giorno per bere il Torgiano la prima volta. Gli somiglia per evidenza…basta una simpatia tra le cose perché fraternizzino e si diano la mano.
La giornata va a trovare un finale e mi rifugio in un enoteca a due passi dal museo del vino e dell’olio.
Qui una fanciulla furba e scura, piccola e timida, non riesce a dirmi nemmeno buona sera. Mi preoccupo di ordinare un bicchiere di rosso di Torgiano, lei storce un poco il naso e quasi le dà fastidio di aprire una bottiglia per un bicchiere e allora con dispetto le faccio…una bottiglia ! che me la bevo da solo…che questo vino è destino berlo in solitudine…A lei viene una strana solidarietà e si permette di dirmi che…allora le faccio compagnia…e là dove va a cogliere questo frutto del suo paese s’apre una risata di vecchia strega e giovane amante.
Stappata la bottiglia versato il succo nei bicchieri, assaggiatolo insieme come a scoprirne chissà quale arcano lei mi dice…forse un po’ freddino ma si scalderà…
Ci raccontiamo bevendo i nostri piccoli e pubblici segreti.
La sera è inesorabile. Ci coglie in quel frangente che scalda i cuori e le fisionomie dure e faticose a mantenersi in una maschera si sciolgono come cera al lume.
Torgiano si spegne lentamente nel suo silenzio, nessuno ci ha disturbato mentre il vino con la sua voce chiara e sicura ci racconta queste colline, verdi ed aspre.
Abbiamo parlato di questo vino che nasce dalla fantasia degli uomini e dalla capacità della terra che sa quello che si può e lo permette.
Non c’è bisogno scambiarsi i nomi così lontani dalla vita e da noi stessi. Non c’è bisogno prevedere un altro incontro perché con una persona appena conosciuta si può quello che si può con una bottiglia di vino.
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