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Morro d'Alba risate a fior... di Lacrima

di Antonio Mestichelli

MappaArticolo georeferenziato

C’è un paese che appare una volta all’anno su di un piccolo colle. Sorge così come un fungo dopo un temporale leggero, prima dell’arcobaleno. Non è un miracolo, né un incantesimo. Accade per fortuna nel cuore di coloro che sanno il luogo, la stagione e ne serbano memoria.

Morro d’Alba è un piccolo e curioso paese della provincia di Ancona. La marca, da le sue parti, non è un luogo di confine ma il cuore della regione che si scalda del proprio sangue e batte per cose vicine e spaura le lontane.
Unico paese in Italia che è un palazzo-fortezza.
A dirlo così non si ha percezione della straordinaria curiosità che suggerisce nel visitarlo. Del resto se la fantasia non ha timore di lanciarsi in visioni poetiche è merito o colpa della sua unicità.
Nel primo fine settimana di Maggio si tiene in questo originale paesello la festa annuale del Lacrima di Morro d’Alba.
Vino anch’esso singolare, raro esempio di legame con il territorio. Vitigno autoctono, restituito al bene universale dopo decenni di abbandono e rischi di estinzione, fruttifica nelle colline adiacenti da cui trae i profumi ed il suo inconfondibile gusto.
Tanto si è detto e predicato di questo vino che non spetta a me glorificarlo. A me, caso mai, per elezione sentimentale piace raccontare una giornata nella sua terra..

E’ domenica. Maggio è entrato oggi. E’ caldo, il sole va e viene. Mi alzo in questa mattinata con una speranza che si frantuma in briciole di vita. Ci sono giorni che stanno lì come delle statue in un museo. Le guardi e ti sembrano anche belle. Toccarle non poi, saperne di più nemmeno. Allora ti viene voglia di gettarle a terra e scappare.
Poi dall’etere un messaggero di un’altra vita, parallela alla tua, compone il tuo numero di telefono.
- Atoine, non ti ricordi vero ?
- Ciao Rita, che c’è ?
- Allora non ti ricordi ! lo sai che oggi è il 1 maggio ?
- Un minuto di silenzio per i pioppi poverini…come gli agnellini a Pasqua…
- Ma che dici…oggi ….Morro d’Alba!
- Morro..ah..si…lacrima…
- Guarda… io e Luca ci liberiamo verso le quattro del pomeriggio ti passiamo a prendere ?!
- Si!
Morro d’alba è un pensiero che resta dopo il silenzio tornato dentro casa. Mai stato a Morro, curioso di andarci, di starci subito adesso.
Guardo l’ora e sono le 11.00…una febbre da leone mi viene addosso.
Faccio pranzo a casa con una novità nel cuore.
Il pranzo di casa contiene virtù antiche e vizi cronici della contemporaneità. La Mamma, la domenica, maggio o non maggio, con le braccia che potrebbero stendere un orso, lavora la massa, “spannella” fino alla sfoglia che riduce con arte a spaghetti. Un pollo arrosto ruspante, un compagno dell’orto con le patatine rotonde come le sue improbabili uova. Il vino lo fa il Babbo che tiene a bada una piccola vigna di Sangiovese, Montepulciano e altri vitigni di cui non conosce i nomi…vino di nove qualità d’uva…dice con entusiasmo…tutto è come qualche secolo fa…Tuttavia la Tv sempre accesa inietta siringhe di volgarità, inquietudini d’ogni genere e anche le vivande sì sincere paiono sproloquiare. Nemmeno vale spegnerla giacché il silenzio familiare costringe gli animi all’eccitazione che precipita nel litigio per blandi motivi.
Il caffè ! il bar è vicino a casa. La domenica diventa lunghissima. I cari amici mi vengono a prendere alle 16.00. Che fare in queste ore ?
Fumare ?
In me nasce repente una smania. Io vado ! Vado così come sono… vado adesso a Morro… in sella alla mia fedele Uno parto.
Non nasce un dilemma per il percorso poiché rifuggo l’autostrada per giungere posti così vicini. Morro d’Alba mi dico è di là…una due tre valli coi rispettivi fiumi e ci siamo!
E’ alla fine un bel viaggio. Attraverso paesi, contrade, luoghi conosciuti dove si appostano ricordi come pattuglie di carabinieri.
In meno di un’ora intravedo Sarnano che vuol dire che Macerata è vicina. La settempedana è una via meravigliosa che dritta pare trafiggere le montagne. Imbocco una scorciatoia che scende per la valle del Chienti e sotto Belforte svolto per Tolentino, salgo per le terme di Santa Lucia verso San Severino, guado il fiume Potenza per Cingoli che sta sul balcone a sonnecchiare. Morro d’alba è sopra un monticello ad equidistanza tra Jesi e Senigallia.
Sono le quattro di pomeriggio. Per un attimo penso che quella è l’ora di un appuntamento che ho saltato. Non me ne vorranno. Mi conoscono e sanno che sento le cose che faccio…innocentemente.
A Morro d’Alba la festa ancora non c’è ma tutto è pronto:
i tavoli lunghi allineati nella piazzetta, la cucina nascosta dietro un prefabbricato, il bancone per servire le pietanze, la cassa che è solo un tavolo, i blocchettini colorati, ad ogni colore una pietanza. Su di un angolo della piazzetta il bancone dei vini. Già stappate (il tappo è messo mezzo fuori come si usa in casa quando avanza) decine e decine di bottiglie di lacrima delle cantine più diverse. Poca gente, gli organizzatori, qualche venditore ambulante e qualche curioso, fanno questo pomeriggio sospetto di una sagra.
Decido, dopo aver ben memorizzato i punti angolari dove muovermi con agio e destrezza, di visitare il paese.
Morro è dunque un palazzo. Un pentagono con il vertice di accesso aperto con un arco, che è poi una porta a cui hanno chissà perché tolto il portone. Varcato questo arco il palazzo dà un cortile, la piazza del paese.
I lati chiusi sono un camminamento a portico senza soluzione di continuità. Lo chiamano la Scarpa. Passeggiarvi è bellissimo.
Si fa il giro del palazzo sotto questo portico ad altezza di avvistamento con una strana sicurezza. Dovunque io guardi beh scorgo chiunque prima che mi veda.
Questa Scarpa è l’unica via del paese, almeno di quello antico, visto che Morro d’Alba si è poi sviluppato, è da dire senza esagerare, fuori dal palazzo. Curioso è che passeggiarvi significa quasi percorrere un corridoio di una casa dove ogni porta è un’abitazione. Ti vien voglia di aprirla per vederci dentro. Infatti ogni tanto si apre una porta e esce un vecchio, di là una giovincella tutta saputa, di qua un bambino che scappa a rotta di collo.
Ora non c’è il tempo di pensarci troppo che la passeggiata o meglio la “scarpata” si compie in 5 minuti, di meno.
Tempo si può impiegare se viene la meraviglia di perdersi nel paesaggio che si mostra sulle due piccole terrazze aperte sugli spigoli del lato più lungo del pentagono. Che poi a dire il vero è un pentagono molto irregolare ché della geometria questo palazzo si fa beffe.
Comunque più che le pietre a me cari sono gli uomini.
I Morresi, li chiamo così senza documentare l’effettiva locuzione per i medesimi, sono, come spesso avviene nei paesi dell’entroterra, molto somiglianti l’uno con l’altro. Non azzardo se dico che sono fratelli di sangue. Lo si scorge da alcuni tratti terragni e dall’espressioni un poco burlesche. C’è, insomma, un gene morrese che salta di famiglia in famiglia a fare il suo comodo e piacere.
Anche le donne che molte volte per uso di civiltà e costume, vengono rapite dalla casata, hanno una stessa fedele e genuina sembianza.
Quel che colpisce della gente e che indica inconfutabilmente della bontà del vino e delle vivande, è un corpulenza animata e rumorosa. Eh, si ! L’uomo è quello che mangia ! E se mangia male, pensa male e vive male.
Ora il morrese che io ho incontrato, senza per questo averne avuto una conoscenza profonda, ma solo intuitiva, è uno che vive bene e che pensa bene. Questa disanima abbastanza leggera trae ispirazione più che da una esperita indagine alimentare da quegli effluvi odorosi della cucina della sagra. Infatti da pochi minuti in piazza si sono accesi i forni e le vivande iniziano a scaldarsi.
Provvedo nella mia solitaria beatitudine a fare amicizia e l’unico amico che trovo subito è una bottiglia di lacrima che rinvigorisce il bene e la assaggio mentre il paese si anima e me la succhio mentre attorno la gente si moltiplica con un clamore ordinato e spiritoso. Per accompagnare il vino mi procuro una piadina alle erbe e formaggio. Praticamente buona e virtualmente amante del lacrima, insieme indorano la bocca di un gusto originale e profumato di terra.
Mi si accendono i fanali interiori del corpo sottile.
La piazzetta vivace di uomini e donne e bambini si colora dei colori del pomeriggio di Maggio che ha vento in cielo e sole in terra.
Le pratiche della cucina aumentano, il pomeriggio s’increspa di rubini e smeraldi, in cielo nuvole bianche si macchiano anch’esse di un azzurro violento.
Mi metto sottobraccio la mia bottiglia ancora non finita e me ne vado a passeggiare in mezzo alla gente. Mi vien da pensare che se qualcuno ci facesse caso di questo tipo che si trastulla in mezzo al consorzio umano di questo paese in solitaria con uno scettro per mano, direbbe : è il re di Morro o lo scemo del villaggio. Ma la verità è un’altra è cioè che in un luogo genuino, incontaminato dalle vanità umane, dove si vive una festa per tradizione, sia al re che allo scemo si riserva cortesia.
Mi piace girar per la festa tra la gente e mentre il piacere ci prende forse troppo gusto, dalla scarpa sento il grido vittorioso di Rita che mi chiama…Atoine…Atoine…siamo quassù !
I miei amici sono arrivati ! Li raggiungo con grande baldanza pronto pure di offrigli del vino dalla mia bottiglia che porto in mano.
Inizia una giornata di grandi emozioni, poiché gli amici e il vino e la festa fanno di una vita una supervita

Io non so bene, i conti li tenne Rita, delle bottiglie di vino che bevemmo in quel pomeriggio che subito si fece sera e sempre più felice si ficcò nella notte.
Rita racconterà che ne facemmo fuori ben 6, certo diluite in un tempo che scavalcò la mezzanotte e si diresse verso l’alba.
E’ da dire che non perdemmo mai il senso della realtà, anzi ne acquisimmo un senso più alto e magnifico, perché la genuinità del vino procura sempre un miglioramento della vita.
Facemmo molte amicizie, i giovani del paese che ci portarono a vedere le grotte misteriose della fortezza, perché sotto la scarpa si distende un labirinto di cunicoli e passaggi segreti che sbucano in aperta campagna, proprio tra i filari di lacrima sulle colline. Come scordare gli amici di Gubbio che ci raccontarono, durante la notte a brindare insieme, di S.Ubaldo e della corsa dei ceri. Così come c’incantammo ai racconti di vino e gastronomia di due coppie di vecchi, giovanissimi, che giravano da mesi con un camper per i siti eno-gastronomici del centro Italia. Le due signore, donne che io sposerei insieme, esperte cuoche, cucinavano sul camper ogni sorta di prodotti dei luoghi che toccavano, mentre i mariti si prodigavano alla ricerca di vini, di formaggi, e insaccati di ogni tipo.
A Morro d’alba erano arrivati per caso poiché non conoscevano né il vino né la sagra, venivano da un tour nelle terre cortese del rosso conero e erano stati una settimana tra le colline del verdicchio.
Avremmo voluto seguirli, farci adottare e con loro organizzare cene e bevute e racconti.
Da quella domenica 1 Maggio non c’è stato anno che ho mancato alla festa del lacrima e ogni anno si è trovato il modo di mutare …perdonate la facezia…lacrime in risate.

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