Dopo averne tanto sentito parlare, finalmente ho avuto l’occasione di conoscere l’enologo Gaspare Buscemi. Un uomo particolare, definito dai più “enologo fuori dal coro”. In realtà egli si identifica come un artigiano e definisce gli altri “fuori dal coro”. La sua idea è quella di proporre un vino artigiano, non standardizzato dalle ripetibili tecnologie industriali. Infatti il 90% del vino bevuto nel mondo risulta essere un prodotto industriale, ma quel 10% fa del vino un elemento di culto, e non importa che esso sia eccellente, quello che più conta è che sia soggetto, capace di dare emozione, di riuscire a identificare la sua origine, o di percepire il “carattere” del suo produttore.
Gaspare non rifiuta le tecnologie odierne, ma le modifica o ne inventa di proprie. Questo per lasciare il frutto più integro possibile, infatti i processi di ossidazione incominciano dal momento in cui si spreme l’acino. Inoltre la buccia è sì importante per i suoi contenuti ad esempio di polifenoli, però se frantumata in più punti libera anche delle sostanze poco piacevoli. Per questo motivo Buscemi non usa la classica pigia-diraspatrice a cilindro pneumatico, ma una macchina di sua invenzione che, dice, fa uscire la polpa da un punto soltanto dell’acino, come se fosse schiacciata con i piedi alla vecchia usanza. Ma, cosa più importante, riesce ad ottenere il 40% di mosto in pochi secondi, il 50% dopo qualche minuto, ed il rimanente entro la prima ora. Con queste ed altre tecniche riesce a ridurre al minimo indispensabile l’anidride solforosa, infatti tutti i suoi vini ne contengono una percentuale molto al di sotto del livello di guardia. Egli è un enologo che lavora per varie aziende e nel corso della serata abbiamo degustato alcuni suoi importanti prodotti con una sequenza particolare, cioè quattro piccole “verticali” con appunto quattro vini diversi. Lo scopo è quello di valutare quanto possano essere longevi e migliori i vini con il trascorrere degli anni. Abbiamo pertanto posto meno attenzione alla “etichetta”.
Spumante 1998 (perle d’uva): cuvée di annate ’96 e ’97 con uve del territorio Collio (pinot bianco e ribolla gialla, soprattutto). In realtà per la legislazione si tratta di un vino frizzante, con un tappo di sughero normale, come quello usato per i vini fermi, e sopra a questo ancora un tappo a corona, per eliminare del tutto i microprocessi di ossidazione e favorire quelli di “riduzione” più importanti per la tipologia spumante. Le uve per ottenere il vino base sono state raccolte a piena maturazione, a differenza degli altri spumanti e la presa di spuma è data dall’aggiunta di mosto fresco anziché zucchero. Tutto questo ci ha dato un prodotto con perlage di bollicine non molto numerose, abbastanza fini ma persistenti. I profumi sono lievi, fini, in evoluzione con il passare dei minuti, con note minerali, erbe aromatiche. Bevendolo l’impatto è ancora fresco e sapido, abbastanza morbido, abbastanza equilibrato e mediamente persistente.
Spumante 1991 (perle d’uva): con una cuvée del ’89 e ’90. Tecnica di produzione e tappatura uguale alla precedente. Il vino si presenta con un colore leggermente più intenso dell’ altro. Il perlage di questo è ancora più persistente, addirittura anche dopo un’ora c’erano un paio di file di bollicine. All’inizio i profumi erano chiusi, poi sono emersi sentori di piccoli fiori bianchi, ancora erbe aromatiche, fieno, e più tardi sono emerse note di idrocarburo. Tutti con una intensità lieve. All’assaggio è intenso, meno fresco del primo, sapido. Sicuramente più morbido ed equilibrato, con una buona persistenza.
Erbaluce di Caluso 2004 (colombaio di candia): Adesso ci troviamo in Piemonte. Solo acciaio. Vino di colore giallo paglierino direi tenue con leggeri riflessi verdolini. I profumi sono lievi ma fini, non molto intensi, con riconoscimenti di fiori bianchi e pesca bianca. In bocca invece è intenso, più sapido che fresco, equilibrato, ma lo definirei abbastanza armonico (molto più intenso in bocca che al naso), buona la persistenza.
Erbaluce di Caluso 1990 (colombaio di candia): Solo acciaio. Di colore giallo paglierino leggermente più intenso con riflessi dorati. I profumi sono sempre lievi, fini, di caramello, fieno, qualche nota balsamica. Bevuto l’impatto è ancora abbastanza fresco, nonostante i suoi anni, sapido, ma soprattutto molto morbido. Equilibrato e persistente.
Collio pinot bianco 2004 (alture): Solo acciaio. Piccola percentuale di ribolla gialla e altri vitigni del territorio non aromatici. Il colore è giallo paglierino. È il vino con i profumi più intensi di quelli già assaggiati, floreale e fruttato di pesca gialla e pera, fini. All’assaggio è fresco e sapido, morbido. Vino di corpo, più degli altri appena provati. Abbastanza persistente. Direi che in questo caso il territorio si fa notare e fa la differenza.
Collio pinot bianco 1987 (alture): Solo acciaio. È un vino che si presenta particolarmente persistente nel bicchiere, di colore giallo paglierino carico con evidenti riflessi dorati. Profumi di pasticceria, frutta esotica e sciroppata, fini. Al palato è intenso, puro velluto, sapido ma ancora abbastanza fresco (ha vent’anni!). Equilibrato e molto persistente.
Collio merlot 2004 (alture): un veloce passaggio in legno ma in botti molto grandi e vecchie. Il colore è rosso rubino con ancora riflessi porpora. I profumi sono abbastanza intensi, fini, soprattutto prugna e viola. In bocca è di buona morbidezza, fresco e sapido, con tannini evidenti ma non astringenti. Abbastanza equilibrato e persistente.
Collio merlot 1988 (alture): Stesse botti del precedente. Il colore è rosso granato ma non molto intenso. I profumi sono complessi, fini, con un buon bouquet di sentori terziari (cuoio, etereo, speziato, ecc.). All’assaggio è molto morbido, sorprendentemente ancora fresco, sapido, tannico ma non amaro. Equilibrato e una persistenza lunghissima.
Nelle mie considerazioni finali voglio evidenziare che in nessuno dei vini degustati ho notato alcuna nota ossidativa sia nei profumi che nel gusto. Ho osservato che i vini invecchiati risultano essere più complessi, con il risultato di migliorare con l’affinamento. Nelle sensazioni retro-olfattive è sempre rimasta una sensazione come di dolcezza, una bella piacevolezza, mai una nota di amaro. Infine direi che questi vini forse non sono di una complessità importante, ma risultano sempre molto bevibili, mai pesanti, neanche dopo tanti anni di affinamento, anzi, una volta finito il bicchiere si ha immediatamente voglia di versarsene un altro, cosa molto rara nei vini di grande invecchiamento.
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