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Bravo il casaro che inventò la Vastedda

di Margherita Venezia

MappaArticolo georeferenziato

"Pani e tumazzu", il tipico pasto del contadino siciliano di una volta, diventava "vastedda e vastedda", se il pane era di forma rotonda ed il formaggio la vastedda, una pasta filata ottenuta dal latte di pecora, dal colore bianco e dal sapore leggermente acidulo.

Un unico nome per due alimenti preziosi: il pane ed il formaggio; ma la vastedda non è un formaggio che si produce ovunque, né con qualunque latte. La si fa solo nella Valle del Belice (Comuni di: Calatafimi, Campobello di Mazara, Castelvetrano, Gibellina, Partanna, Poggioreale, Salaparuta, Salemi, Santa Ninfa e Vita nella Provincia di Trapani; Santa Margherita Belice, Montevago, Menti e Sambuca di Sicilia nella Provincia di Agrigento e Contessa Entellina nella Provincia di Palermo), con il latte della pecora Valle del Belice, una popolazione ovina di circa 60.000 capi, istituita a razza da circa un decennio ed ottenuta dall'incrocio delle razze Pinzirita, Comisana e Sarda.

I casari sono gli eredi di un leggendario pastore che inventò la vastedda. Si racconta infatti che un pastore della Valle del Belice, dopo aver munto il latte, lo caseificò a pecorino; ma a causa di un forte vento caldo estivo che manteneva elevata la temperatura, la pasta messa nei canestri, prima della salatura, divenne acida. Il casaro tagliò a fette il formaggio inacidito e lo mise in acqua calda rimestandolo con un ramaio. La pasta, avendo perso l'acidità, cominciò a filare. Tolta la pasta dall'acqua, il casaro ne fece subito un pastone di forma ovoidale e lo pose in un contenitore. Così nacque la vastedda.

In effetti, la fase iniziale di lavorazione della vastedda è molto simile a quella del Pecorino, solo che la tuma, una volta pronta e messa nelle "vascedde", anziché lasciarla maturare nel siero caldo, si lascia riposare per circa 24 ore e poi si taglia a fette sottili che vengono poste in un contenitore, dove viene versata acqua calda ad una temperatura di circa 80-85°C. Poi si mescola con una paletta di legno, fino a quando il formaggio comincia a filare. Fatto ciò, il casaro toglie dall'acqua il formaggio, lo impasta con le mani finché non lo riterrà pronto per metterlo nell'apposito piatto fondo dove assumerà la forma di una "focaccina".

Oltre la leggenda c'è la storia, quella che testimonia le origini remote di questo particolare formaggio, come è remoto lo sviluppo della pastorizia in questa zona. Da una ricerca storica effettuata dall'Assessorato Agricoltura e Foreste della Regione Siciliana è emerso che la pastorizia e la viticoltura, ebbero un notevole sviluppo con l'avvento degli Aragonesi, che si dimostrarono benevoli verso i contadini ed i pastori favorendo così lo sviluppo di queste attività.

Il documento più antico, tra quelli ritrovati, che attiene alla vendita di formaggio prodotto nella Valle del Belice, risale alla metà del XV secolo. Nel 1497 nella Valle del Belice fu prodotto una grandissima quantità di formaggi, al punto che lo stesso vicerè ordinò la vendita la formaggio a minuto "…….per il bene della povera gente". A quel tempo si producevano diversi prodotti caseari: il pecorino fresco e stagionato, la ricotta, il caciocavallo e la vastedda, che tradizionalmente veniva caseificata solo nei mesi estivi, quando le elevate temperature favoriscono l'insorgere di fenomeni di acidificazione naturale ed il latte è più ricco di aromi intensi.

La storia di oggi invece è di una zootecnia presente in tutta l'area con allevamenti ovicaprini e bovini, una zootecnia che negli ultimi anni è cambiata soprattutto per quanto riguarda la fase di trasformazione e commercializzazione; infatti le recenti normative sull'adeguamento delle strutture di caseificazione hanno imposto l'obbligo di adeguare i locali adibiti alla caseificazione nel rispetto delle norme igienico-sanitarie, nonché di commercializzare i formaggi confezionati ed etichettati, con il risultato che molti allevatori, senza base aziendale, che in passato trasformavano in strutture precarie, hanno optato per la vendita del latte all'industria o a strutture locali adeguate alla trasformazione del prodotto. Solo pochi allevatori hanno investito nella propria azienda creando delle strutture idonee o rendendo tali quelle già esistenti, dove oggi trasformano il latte in formaggi e ricotta che immettono sul mercato confezionati sotto vuoto.

Attualmente l'Assessorato Agricoltura e Foreste della Regione Siciliana ha in corso un progetto per valutare metodi alternativi di confezionamento (in alternativa al sottovuoto), che consentano di mantenere inalterate le pregiate caratteristiche organolettiche della vastedda, nonché alcuni parametri chimici e fisici.
Al pari di altri prodotti caseari freschi la Vastedda è un'eccellente fonte di principi nutritivi, soprattutto proteine, vitamine liposolubili e sali minerali. Il suo contenuto proteico risulta superiore rispetto alla media di altri formaggi ovini freschi, ciò è dovuto alla particolare tecnica di lavorazione, che causa il dilavamento del grasso durante il processo di filatura della pasta ed il conseguente aumento, a parità di peso, delle proteine presenti, con una spiccata leggerezza del formaggio e una maggiore digeribilità.

Naturalmente la Vastedda è un prodotto che va consumato fresco, subito dopo la caseificazione. Solo in questo modo si riescono ad apprezzare le sue caratteristiche aromatiche. In ambienti freschi e asciutti può conservarsi per qualche tempo, ma non è un prodotto che si presta alla stagionatura. La Vastedda della Valle del Belice è facilmente riconoscibile grazie alla forma piccola e delicata, simile ad una focaccina, ed al colore avorio tenerissimo. Il suo sapore delicato può essere esaltato se lo si accompagna con altre essenze mediterranee. Una ricetta semplice e gustosa è la "Vastedda alla Caterina", che utilizza come ingredienti: vastedda, pomodoro, basilico, capperi, olio extravergine d'oliva, aceto di vino e sale; per preparare tale piatto basta tagliare la vastedda e i pomodori a dadi, spezzettare il basilico e dissalare i capperi sotto l'acqua corrente, infine si condisce con olio, aceto e un pizzico di sale.

Buona come il pane, la vastedda merita di essere apprezzata, valorizzata e tutelata, per queste ragioni è stata presentata richiesta di riconoscimento D.O.P. ed è già stato costituito apposito Consorzio di tutela.

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